La fortuna è un vento che soffia sempre verso direzioni diverse

Ero uscito di casa sbattendo forte la porta. Le avevo mentito un’altra volta e lei se n’era accorta. Non mi aveva cacciato, ero stato io a volermene andare, per farla riflettere un po’ da sola. Avevo passato quegli ultimi tre giorni dormendo in macchina, la sera mangiavo nei fast food e a mezzogiorno scatolette di tonno se avevo fame, se no saltavo la pausa pranzo e rimanevo a stomaco vuoto fino alle otto. Lavoravo male, ero distratto e il mio superiore aveva più volte minacciato di licenziarmi. La notte passavo ore o e ore a fissare la luna dall’interno della mia auto, senza riuscire davvero a prendere sonno. La sera del quarto giorno decisi di cambiare programmi, perché nel fast food in cui stavo andando vidi i miei genitori e, non volendo che mi vedessero in quello stato, feci inversione, imboccando la strada che usciva dal parcheggio. Mi tornò alla mente, dirigendomi poi verso il minimarket più vicino, quando quella sera di cinque anni fa tornai a casa e mia mamma mi disse: “Vieni subito qui che ti devo parlare! Non stai mai in casa, non ti riposi mai e dormi poco! Guarda che faccia c’hai!” “Cosa? Cos’ha la mia faccia che non va?” “Ma come non ti accorgi delle occhiaia che hai? Sei pallido e hai un livido sotto l’occhio… A proposito, come te lo sei fatto vorrei sapere”. Io mi fissai a lungo rendendomi sempre più conto che mia madre aveva ragione. E ora guardavo quella stessa faccia, rifessa nel finestrino di quella macchina che a quel tempo desideravo. Fermo, nel parcheggio del market.

Senza titolo-2Entrai e presi una bottiglia di San Miguel e due panini, poi uscii e mi sedetti su una panchina poco distante. Stavo addentando quello al prosciutto quando sentii una voce provenire dalla notte: “Sai cosa dicono in giro? Che la generosità è egoismo”. Mi girai di scatto spaventato, cercando di capire da dove provenisse quella strana voce. “Cosa ne pensi, amico?” udii ancora, mentre vidi che si stavano muovendo dei cartoni, nell’atrio del condominio che avevo alle mie spalle. Era un barbone che si era appena svegliato, aveva una cinquantina d’anni, magro, con i capelli marroni scombinati e la barba incolta. Colpì forte il cartone che aveva sopra di lui e che usava come coperta, scaraventandolo 2 metri più in là. Notai che aveva addosso una camicia di flanella nera e verde, stropicciata e sporca di terra e cenere. “Allora?” mi chiese di nuovo. “N-n-non lo so, può essere” balbettai. “Può essere? Può essere! Certo che può essere!”. Allora domandai incuriosito: “Cosa intendi di preciso?” “Intendo che se tu sei gentile con il prossimo, lo fai solo perché, se non lo facessi, staresti male con te stesso, lo fai per fare un favore a te.” “Mmmh forse hai ragione. Nessuno fa favori senza avere nulla in cambio” “Ma sai cosa ti dico? Sarebbe meglio per me se fosse davvero così ah ah ah!” e scoppiò in una calorosa risata. Dopo un rumoroso sospiro si alzò e, stirandosi le ossa, continuò: “Ma ora le persone hanno smesso persino di essere generose, il che vuol dire «doppio egoismo». Se ne stanno chiusi nel loro sicuro, accogliente e piccolo mondo di merda e quando incrociano il mio sguardo, girano la faccia, perché nel loro sicuro, accogliente e piccolo mondo di merda non c’è spazio per gente come me”. Restammo entrambi un attimo in silenzio, guardandoci attorno. Poi lui esplose in una seconda ristata esagerata: “Non gente che guarda negli occhi, cos’hai capito! Gente povera, barboni come me ah ah ah!” Era evidente che fosse enormemente ubriaco e che avesse passato gli ultimi giorni, forse mesi o anni, per strada, col suo bicchierino di carta in cui, di solito, al giorno scintillavano dentro non più di 5 euro.

D’un tratto, però, diventò serio. ”Non capiscono che un giorno potrebbero aver bisogno loro di me, perché la fortuna è un vento che soffia sempre verso direzioni diverse” esclamò. “Cristo santo, il denaro è diventato tutto per le persone, lo trattano come il bene più caro che hanno. I soldi rovinano tutto ciò che ci sta intorno, amico!”. Quello schizzato mi aveva talmente colpito che feci scivolare dal mio portafoglio 10 euro e glieli allungai. Mi ringraziò col capo e, tramando leggermente per il freddo, mi spiegò: “Poco lontano da qua c’è un vecchio pensionato che offre posti letto per 10 euro a notte. Se riuscissi a guadagnare tutti i giorni questa somma, potrei dormire al caldo tutte le notti. Il gelo di questo periodo mi sta distruggendo i muscoli, la mattina mi ci vogliono quindici minuti prima di riuscire a camminare”. Gli strinsi la mano e gli lasciai qualche sorso della mia birra, lo salutai e me ne andai.

Il giorno dopo sistemai le cose con la mia ragazza e tornai a dormire nel mio letto di fianco a lei. La mattina le cucinai delle frittelle che le fecero tornare il buon umore. Quando la vidi sorridere, capii che, per il momento, tutto stava procedendo per il verso giusto. In quei giorni lavorai sereno e tranquillo, sapendo che la sera, al mio ritorno a casa, ci sarebbe stata lei ad accogliermi.

Tempo dopo, decisi di portarla fuori a cena, con i soldi che ero riuscito a mettere da parte. Mangiammo in riva e poi la portai a passeggiare sul lungolago. Fu allora che un ragazzo si avvicinò e cercò di rubarle la borsa. La tirò con forza e la strappò dalle mani della mia ragazza e lei dalle mie, facendo volare lei tra i fiori e me sull’asfalto. Io cercai di tenerla, ma fui respinto da una gomitata del criminale, che mi colpì sulla guancia. Partì a correre come un pazzo, mentre io ero per terra dolorante. Riuscii solo a vedere che dietro l’uomo che fuggiva c’era un’altra ombra nera che lo seguiva a ruota. Pensai fosseSenza titolo-1 un complice, mentre mi contorcevo sulla stradina, cercando di raggiungere la mia fidanzata che tentava di rialzarsi. Ci tirammo su a vicenda e ci sedemmo su una panchina, spaventati e disgustati. Mentre la abbracciavo, vidi un uomo uscire dal buio della notte. Era magro, non troppo alto, capelli marroni ordinati e portava una camicia azzurra, che spuntava fuori dalla sua giacca nera. Si fermò qualche secondo di fronte a noi, mentre lo fissavamo immobili, poi allungò la borsa appena rubata e, tra respiri affannati, disse: ”La fortuna è un vento che soffia sempre verso direzioni diverse”. Non aggiunse altro. Si girò e l’oscurità lo inghiottì.

Non sono ancora del tutto sicuro che quell’individuo fosse proprio l’uomo che avevo incontrato tempo prima davanti a quel minimarket, forse nel frattempo si era rimesso a posto, abbastanza da potersi permettere una camicia elegante e un materasso su cui dormire qualche ora dopo una faticosa giornata, o almeno lo speravo. Comunque sia aveva avuto ragione, era arrivato il momento in cui ero stato io quello ad avere bisogno, la situazione si era capovolta. Ed è proprio in queste situazioni, pensai, che la gente rimpiange di non aver fatto del bene o pretende dagli altri qualcosa che non è disposta a fare per loro.

Dopo quanto era accaduto, ero sicuro che qualcosa di bello sarebbe successo anche a lui.

Stefano Iaquinta

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